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Aprile 2017 – Fine pena: ora

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Aprile 2017

FINE PENA: ORA di Elvio Fassone

E’ un racconto tratto da una storia vera. Non è un romanzo  generato dalla fantasia dello scrittore. Nel 1985 si celebra a Torino un maxi processo di mafia della durata di quasi due anni. Durante questo lungo periodo, stranamente si viene a stabilire un rapporto di reciproco rispetto e di fiducia, anche se il termine non sembra appropriato, fra uno dei detenuti condannato all’ergastolo e il presidente della Corte d’Assise. La legge viene applicata, le sentenze vengono emanate, ma questo non impedisce al giudice di interrogarsi sul senso della pena, soprattutto dopo l’affermazione del condannato, che se fosse nato e vissuto in un ambiente diverso, come quello di suo figlio, in quel momento non sarebbe dietro le sbarre in attesa di giudizio. Il giorno successivo alla condanna il giudice scrive e manda un libro al condannato come gesto di umanità, per non abbandonare un giovane uomo che dovrà passare il resto della sua vita in carcere. Farà seguito una corrispondenza che durerà ben ventisei anni.

Commento del gruppo dei lettori:
Il racconto ha riscosso unanime successo e tutti hanno condiviso che è una testimonianza che ha qualcosa di insolito. Una corrispondenza fra condannato e chi gli ha inflitto la pena a vita che si protrae per ben ventisei anni. L’esecuzione della pena detentiva è la consumazione di un tempo stabilito dove gli anni rotolano lentamente e pesantemente. Dove le persone possono cambiare e comprendere la gravità degli errori commessi Il romanzo ha un contenuto che scuote e in parte commuove, che pone l’interrogativo se è possibile conciliare la sicurezza sociale e la detenzione a vita, non dimenticando che il carcere è la giusta punizione per determinati gesti che non andavano commessi. Ma la persona non è mai tutta in un sol gesto compiuto, buono o cattivo che sia. La riflessione diventa complessa, in quanto senza dimenticare l’attenzione al percorso umano di qualsiasi condannato, vi sono due tipi di sofferenze, quella delittuosa, detentiva, e quella luttuosa. Ogni soccorso offerto alla prima non corrisponde altrettanto per la seconda che resterà viva, dolorosa e presente per tutto il tempo che rimane.